Una Storia – La Camicia a Righe

Una collina che precipita nel mare, troppo ripida per essere una collina, non abbastanza verticale per essere una scogliera.

Un villaggio sognatore inerpicato su quella discesa, affacciato verso quel golfo di Sardegna senza turisti e senza naviganti.

Le isole, il mare, il tramonto, i colori. Siamo tutti qui ad ammirare questo spettacolo, uno spettacolo inaspettato per i più, un sogno. Ci godiamo le ultime ore di una piccola vacanza in onore del nostro lavoro, tutti insieme, dall’ultimo arrivato a quel che resta dei fondatori.

C’è chi ride, chi scatta una foto, chi parla con un nuovo amico, chi si gode la felicità dei propri figli e chi, come me, cammina fra le persone pervaso dalla loro serenità, godendosi un po’ quella coscienza di esserne responsabile.

Camminando sono passato vicino a mio fratello, lui era uno di quelli che stava parlando con il tuo socio, quello storico, quello che resta dei fondatori, tuo fedele alleato. Ascoltai sono un breve frammento del loro discorso, come quando si attraversano velocemente i tavolini di un bar affollato.

“[…] Chissa se gli sarebbe piaciuto”
“Certo che gli sarebbe piaciuto, ne…”

Un frammento, quattro parole su di te come mille altre volte mi è capitato di sentire. Eppure, in quel momento si è aperto uno squarcio enorme su una ferita giammai guarita e io, che stavo passeggiando in cerca di allegria e soddisfazioni, ho dovuto arginare una crepa da cui zampillavano emozioni senza controllo, senza una spiegazione, senza che io lo avessi in qualche modo permesso. Non era il momento, non era il luogo, gli occhiali da sole mi avrebbero protetto per poco. Feci uno sforzo e chiusi la diga di quel fiume in piena.

Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni, è che le emozioni sono come l’acqua, non la puoi arginare per sempre. L’acqua, in qualche modo, abbatterà quegli argini, o li scavalcherà, o li attraverserà insinuandosi tra una molecola e l’altra. Non puoi fermare l’acqua, puoi solo decidere se lasciarla fluire libera, farla scorrere piano piano o farle distruggere tutto quando è il momento di passare.

Poco dopo è arrivato il momento di andare via e allora siamo saliti vicino l’uscita; lì c’era un’ampia terrazza sul golfo e una piccola piscina per i clienti meno avvezzi al vociare delle persone in vacanza. Mentre aspettavo che tutti prendessere posto sui loro bus, ho visto il tuo socio seduto lì, da solo, ad osservare ancora un po’ quello spettacolo della natura mentre tintinnava il bastone per terra come a voler tradire un misterioso nervosismo. Mi sono avvicinato e l’ho visto lì, immerso nei pensieri di un uomo claudicante di 83 anni, pensieri di cui non avremo mai coscienza se non nel giorno in cui toccherà a noi. Mi sono sentito piccolo davanti alla profondità di quel volto, di quello sguardo.

Come se nulla fosse, quell’immagine mi fece pensare a te, forse pensai che anche lui stesse pensando a te in quel momento, non lo so. Quello che so è che in quel momento lo squarcio tornò a gorgogliare emozioni intense ad una velocità ingestibile, tanto che dovetti allontanarmi dal tuo socio per appoggiarmi alla ringhiera della terrazza sul golfo. Eravamo soli, io lui e la terrazza, io ero di spalle, volto anche io a contemplare il mare, maledetto Re della malinconia.

Feci giusto in tempo ad accendermi una sigaretta prima che i miei occhi si riempissero di acqua, come fossi sul pelo del mare pronto ad immergermi. Furono minuti intensi, era come se tutto ad un tratto fossi diventato un bambino che voleva solo piangere, stremato dall’attesa di tutto quel tempo che aveva dovuto aspettare per lasciarsi andare.

Ti immaginai lì con me, fu questo che mi uccise, ti sentii sulla pelle, sentii la tua voce limpida e la tua presa sul mio gomito, sentii la tua voce dirmi che era andato tutto bene, che era tutto bellissimo, ti immaginai lì con la tua camicia a righe bianche e rosse, quello sguardo deciso, quel sorriso ampio di chi sa di aver fatto tutto giusto, anche il proprio figlio. Era come se avessi voluto talmente tanto la tua approvazione per questo evento che in qualche modo ti avevo portato li per farmela dare dal vivo e l’avevo immaginata così reale che mi stavo sgretolando.

Ero incredulo, inerme, non saprei dire se stessi soffrendo o gioendo, so solo che ci stavo bene lì, stupefatto dalla magia dell’inconscio, dal potere dell’immaginazione, dalla forza interiore che piano piano, come fosse acqua, si era fatta spazio tra le rocce che proteggono il mio cuore.

Mi girai verso il tuo socio, era ancora lì, perso nei suoi pensieri.

“A volte siamo noi a fare in modo che succeda ciò che più temiamo, perché l’unico modo per liberarci dalla paura è che il peggio sia già successo.”

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